Trattamento di reflui industriali tessili
L’industria tessile è famigerata per il suo vasto consumo di acqua e l’utilizzo spinto di coloranti per la produzione di vari tessuti. Circa il 50% dei coloranti prodotti nel mondo vengono impiegati in tale settore \cite{cinar2018} e, siccome la ritenzione dei coloranti nei processi di tintura si aggira nell’intervallo di 2-50% \cite{wilcox1999}, la maggior parte di essi viene scaricata con acque reflue.
La più grande classe di coloranti presenti nell’industria tessile sono coloranti azotati, che costituiscono circa il 70% in peso \cite{zollinger1987}. Inoltre, numerose sostanze chimiche vengono utilizzate per migliorare le loro proprietà di adesione, come tensioattivi e metalli pesanti, che rendono le acque reflue ancora più difficili da trattare \cite{Bisschops_2003}.
Le acque reflue tessili possono essere trattate utilizzando approcci fisico-chimici, spesso sotto forma di pretrattamento, in combinazione con processi biologici, come il sistema convenzionale a fanghi attivi. L’aggiunta di composti chimici, per ovviare a problemi di coagulazione e flocculazione dei costituenti, con la simultanea presenza di coloranti tessili danno luogo a fanghi secondari che dovranno essere trattati appropriatamente. Ciò comporta non solo costi maggiori di smaltimento, ma anche una seria minaccia ambientale, siccome tali trattamenti non riescono a soddisfare standard di rimozione appropriati, poiché l’acqua chiarificata trasporterà con sé residui di tali composti, che anche a basse concentrazioni nei corpi idrici risultano dannosi. Altri metodi in uso includono l’ozonizzazione, l’adsorbimento, l’elettrolisi, etc., il cui principale svantaggio comune è l’elevato costo di impianto e di gestione. Pertanto, è comunemente accettato, che il trattamento biologico risulti essere l’approccio più adeguato, ma che necessiti di modifiche tali al fine di rispettare i limiti all’effluente.